PILLOLE DI CONDOMINIO: LA LIBERATORIA CONDOMINIALE

Il documento, richiesto all’amministratore di condominio da chi intende vendere il proprio appartamento, consiste in una semplice attestazione sullo stato dei pagamenti delle quote condominiali.

I condomini in procinto di vendere il proprio immobile, prima della stipula dell’atto notarile, chiedono all’amministratore di condominio un documento in cui si attesti che non ci sono ritardi o morosità relative al pagamento delle quote condominiali.

Questo documento viene comunemente definito “liberatoria”.

Ma in realtà il termine contraddistingue tutt’altro.

La “liberatoria”, infatti, identifica un documento con il quale un soggetto, creditore, libera un altro soggetto, debitore, dall’onere di restituirgli una determinata somma.

Per esempio, il documento il creditore di mille euro rilascia al suo debitore per liberarlo da tale debito, obbligandosi così a non esigerlo più, costituisce una “liberatoria”.

Quella “condominiale”, invece, non è una liberatoria ma un semplice documento rilasciato dall’amministratore al condomino, in adempimento di quanto previsto dal comma 9 dell’articolo 1130 del Codice civile, con il quale viene fornita, al condòmino che ne faccia richiesta, un’attestazione relativa allo stato dei pagamenti degli oneri condominiali, certificando debiti e crediti dello stesso per l’anno in corso e quello precedente, oltre alle eventuali liti pendenti o in corso di giudizio.

Dunque, l’amministratore di condominio non rilascia al condòmino che vende il proprio appartamento una liberatoria.

E non avrebbe neppure il potere di farlo, in quanto non ha il potere di decidere di sollevare un condòmino dal pagamento delle quote condominiali non pagate.

Decisioni in questo senso sono infatti possibili soltanto con un’apposita deliberazione dell’assemblea, da approvare all’unanimità.

PILLOLE DI CONDOMINIO: PARCHEGGIO IN CONDOMINIO

È possibile assegnare a un condomino un posto auto in più nel parcheggio del condominio?

Gli spazi comuni nei condomini non sempre sono sufficienti per consentire a tutti di parcheggiare le proprie automobili.
Ciò può creare problemi di convivenza tra i condomini, poiché ognuno ha il diritto di utilizzare le aree comuni destinate al parcheggio.

La Corte di Cassazione, nella recentissima ordinanza n. 14019/2023, si è occupata del problema della condivisione degli spazi condominiali da utilizzare per parcheggiare le auto dei condomini.
Secondo la legge (art. 1102 del c.c.), ogni comproprietario può liberamente utilizzare gli spazi comuni destinati al parcheggio, a patto che non sia modificata la loro destinazione d’uso.

Però, cosa succede se lo spazio condominiale non è sufficiente per parcheggiare le autovetture di tutti i condomini?
E, soprattutto, se il cortile del condominio ha spazi in più inutilizzati, è possibile il loro uso da parte di uno solo dei condomini per il parcheggio della seconda automobile?

Secondo la Cassazione, è il condominio che decide, di volta in volta, le modalità di utilizzo degli spazi comuni attraverso il regolamento condominiale.

È necessaria l’unanimità o la maggioranza nella votazione?

La Corte di Cassazione, nell’ordinanza in esame, fa un po’ di chiarezza sulla questione.
In particolare, se lo spazio condominiale è insufficiente per tutte le autovetture, secondo la Corte i condomini possono stabilire attraverso regolamento diverse modalità di utilizzo dell’area comune in base a turni, ad esempio a cadenza mensile o di quindici giorni.

In tal caso, per la votazione del regolamento condominiale basta la sola maggioranza di tutti i partecipanti al condominio, non occorrendo la loro unanimità.
Ciò in quanto nel regolamento è semplicemente regolato l’uso della parte in comune da parte di tutti, e non il suo affidamento esclusivo ad uno solo dei condomini.

Invece, se il regolamento condominiale prevede la possibilità di destinare una parte dello spazio comune ad uno solo dei condomini, secondo la Cassazione deve essere approvato all’unanimità.
Infatti, in questo secondo caso, il regolamento concederebbe l’uso esclusivo dell’area a uno solo dei condomini, togliendo la possibilità agli altri di utilizzare il medesimo spazio.

Sempre nell’ordinanza in esame, la Cassazione ha affermato che è possibile attribuire a un solo condomino l’eventuale posto auto in più nel cortile condominiale, anche a pagamento.Infatti, se previsto dal regolamento condominiale, secondo la giurisprudenza più recente è possibile predisporre posti auto in più a pagamento nel cortile condominiale, ovviamente se c’è spazio in più da utilizzare.

 

Fonte: https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/parcheggio-condominio-pagare-posto/3167.html

PILLOLE DI CONDOMINIO – LE INFILTRAZIONI

Quando il costruttore paga i danni?

Se l’infiltrazione d’acqua nelle parti comuni dell’edificio è dovuta all’imperfetto lavoro di costruzione dello stabile, si può chiedere il risarcimento danni al costruttore?

Se, nei 10 anni dalla realizzazione dell’edificio, compaiono infiltrazioni d’acqua nelle parti comuni del condominio e queste sono dovute a difetti di costruzione dello stabile, il costruttore è responsabile? Si può chiedere il risarcimento dei danni?Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto (con sentenza n. 1022 del 2022) ha dato un’interessante risposta.

Nel caso concreto, un condominio (nella persona del proprio amministratore) agiva in giudizio contro la società costruttrice dell’edificio, chiedendo il risarcimento dei danni per difetti di costruzione dell’immobile.

Peraltro, il condominio chiedeva di acquisire il fascicolo del giudizio cautelare di a.t.p. (accertamento tecnico preventivo) ai sensi dell’art. 696 bis c.p.c..

Infatti, nel giudizio cautelare di a.t.p., il consulente tecnico d’ufficio (nominato dal giudice) presentava perizia in cui evidenziava i difetti di costruzione dello stabile.
In particolare, il pavimento del vialetto comune (con funzione di rampa di accesso al parcheggio vicino al condominio) aveva irregolarità a causa di piastrelle scollate ed infossate; inoltre, c’erano tracce di umidità in una parete e nel muro di cinta dell’edificio, adiacenti al vialetto.

La società costruttrice, invece, affermava che l’edificio non presentava vizi di costruzione.
Oltre a ciò, la società sosteneva che il condominio non era legittimato ad agire in giudizio e che, per l’azione di responsabilità di cui all’art. 1669 c.c., erano intervenute la decadenza e la prescrizione.

Esaminiamo ora la decisione del Tribunale.

In primo luogo, il giudice afferma la legittimazione attiva del condominio ad agire in giudizio.

Per il Tribunale, infatti, il giudizio riguarda vizi di costruzione relativi ad aree dello stabile che rientrano tra le “parti comuni” dell’edificio.

Seguendo la Cassazione (Cass. Civ., Sent. n. 2436 del 2018), il Tribunale ritiene di essere nell’ipotesi di cui all’art. 1130, comma 1 n. 4 c.c.: l’amministratore, anche senza previa delibera dell’assemblea condominiale, può compiere atti conservativi relativi alle parti comuni del fabbricato.

Peraltro, nella vicenda, il condominio ha agito in giudizio in presenza di delibera assembleare.

Poi, in relazione alla richiesta di risarcimento del danno, il Tribunale ha dato ragione al condominio, riconoscendo la responsabilità della società costruttrice per rovina e difetti di cose immobili ai sensi dell’art. 1669 c.c.: i danni riscontrati, secondo il giudice, sono relativi a problemi collegati alla non buona esecuzione di alcune lavorazioni.

In particolare, il giudice ha qualificato i vizi di fabbricazione come gravi difetti di costruzione che, incidendo fortemente su efficienza e durata delle parti comuni, vanno a condizionare anche la loro funzionalità.
E, come stabilito dalla Cassazione (Cass. Civ., ord. n. 27315 del 2017), questi vizi di costruzione, “gravi difetti di costruzione”, danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1169 c.c. poiché essi possono consistere anche in un’alterazione del condominio (o di parte di esso) che, incidendo sulla struttura e funzionalità complessiva dell’edificio, compromette in modo apprezzabile il suo godimento.

Da questo deriva la natura di responsabilità extracontrattuale del costruttore dell’edificio.

Infine, riguardo al termine di denuncia dei vizi di costruzione e alla decadenza dell’azione, il Tribunale, seguendo la Cassazione (ord. n. 777 del 2020), ha affermato che tale termine decorre dal giorno in cui il committente ha un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva sia della gravità dei difetti, sia dell’imprecisa esecuzione dei lavori.

Pertanto, nel caso concreto, il condominio ha agito tempestivamente (in tempo): infatti, il condominio ha avuto piena consapevolezza dei gravi difetti di costruzione solo con il deposito della perizia in sede di a.t.p.

 

https://www.brocardi.it/notizie-giuridiche/infiltrazioni-condominio-quando-costruttore-paga-danni/3183.html