Pillole di condominio – L’estraneo al condominio in assemblea

 

Accade spesso che un condomino, con il preciso intento di tutelare meglio i suoi interessi, voglia presenziare alla riunione con un legale. La presenza di estranei, soprattutto se occulti, costituisce un vero problema sotto il profilo del rispetto della privacy.

Estraneo in assemblea: la posizione del Garante

Si deve rilevare che l’illecita comunicazione a terzi di dati personali riferiti ai partecipanti al condominio è realizzabile mettendo a disposizione di terzi dati personali riportati nei prospetti contabili.

L’ipotesi, però, che si può verificare maggiormente è la presenza in assemblea di soggetti non legittimati a parteciparvi. Tali soggetti (se individuati) devono essere allontanati dal presidente dell’assemblea o, ancora prima, dallo stesso amministratore o dai condomini.

Il discorso può anche riguardare coloro che ricoprono la qualifica di soci nell’ambito di una società incaricata dell’amministrazione dello stabile.

Il Garante ha osservato che se l’amministrazione della società, per determinazione dei soci, risulta affidata soltanto ad un amministratore unico, non sussistono i presupposti per legittimare i soci non amministratori a presenziare alle assemblee del condominio.

In ogni caso, se questi abusivi sono riusciti a “captare” qualche informazione devono astenersi dal divulgarla a terzi: in caso contrario commetterebbero un reato (art. 167 Codice della Privacy).

I tecnici e consulenti incaricati dal condominio

Il Garante ha chiarito che in determinati casi è permesso anche a soggetti, diversi dai condomini, di partecipare all’assemblea dei condomini. A titolo esemplificativo si menzionano “tecnici o consulenti chiamati a relazionare su specifici lavori da svolgere” oltre alle altre eccezioni normativamente previste (es. gli inquilini).

Tuttavia, precisa che tali soggetti, qualora l’assemblea condominiale ne ritenga necessaria la presenza, potranno rimanere solo per il tempo necessario a trattare lo specifico punto all’ordine del giorno per il quale è richiesta la consulenza vademecum. Capita spesso, però, che un avvocato o un tecnico si presenti assieme al condomino.

In tal caso si ritiene che, indipendentemente dalla qualifica professionale, egli rappresenti un soggetto estraneo alla compagine condominiale e non sia ammessa la sua partecipazione, pena la lesione della privacy dei condomini (a meno che l’estraneo non sia espressamente autorizzato a stare in assemblea da tutti gli altri condomini.

Rimane fermo, però, che anche il “non condomino”, autorizzato a partecipare, debba astenersi dal comunicare a terzi le questioni e i dati appresi mentre era in riunione. Si tenga presente che il regolamento condominiale può contenere regole più rigorose a tutela della privacy dei condomini durante l’assemblea.

In ogni caso, quanto detto finora non può valere nei confronti dell’estraneo che partecipa all’assemblea per delega di un condomino.

Assemblea on line e abusivi nella stanza del condomino

La presenza di un estraneo in assemblea potrebbe essere facilitata dalla nuova normativa sull’assemblea on line. Non si può escludere che un soggetto collegato da casa venga anche involontariamente a sentire informazioni e dati sensibili del titolare dell’abitazione o di altri condomini.

Sarà compito del proprietario evitare “questo inconveniente”, mentre si ricorda che è reato registrare conversazioni alle quali non si partecipa (art. 615 bis c.p.), come ad es. nel caso di un registratore lasciato acceso in una stanza.

Estraneo abusivamente presente e riflessi sulle delibere

Merita di essere ricordato che la Corte di Cassazione, rifacendosi ad un precedente provvedimento, ha ribadito che “la partecipazione ad un’assemblea di condominio di un soggetto estraneo ovvero privo di legittimazione non inficia la validità della costituzione dell’assemblea e delle decisioni ivi assunte ma ciò soltanto se risulta che tale partecipazione non ha influito né sulla richiesta maggioranza e sul prescritto quorum, né sullo svolgimento della discussione e sull’esito della votazione.

Nel caso di specie, una società, non condomina e quindi “estranea al consesso assembleare”, aveva partecipato all’assemblea. Nel corso dei giudizi di merito, però, è emersa – in conformità ai principi espressi dalla stessa Suprema Corte – l’ininfluenza di quella partecipazione in relazione alla delibera impugnata.

Gli ermellini hanno confermato la decisione impugnata, evidenziando anche come nel provvedimento oggetto di ricorso gli argomenti portati in assemblea dalla società estranea fossero stati disattesi dai condomini (Cass. civ., sez. II, 30/11/2017, n. 28673).

Pillole di condominio – Assicurazione condominiale, denuncia tempestiva e copertura del danno

Assicurazione condominiale, denuncia tempestiva e copertura del danno

È obbligatorio denunciare il sinistro all’assicurazione tempestivamente. In caso di ritardo, non necessariamente si perde l’indennizzo.

La cosiddetta polizza fabbricati è indubbiamente molto utile. In questo modo, infatti, il condominio è coperto per i danni provocati dai beni comuni a carico dei terzi.

Poiché in tale categoria rientrano anche i vari residenti nel fabbricato e visto che i sinistri sono molto frequenti, l’assicurazione è, praticamente, indispensabile.

Si è osservato, però, nell’esperienza comune che, soprattutto in presenza di indennizzi di una certa rilevanza, la compagnia assicuratrice è restia a riconoscere quanto, potenzialmente, dovuto e/o ad ammettere la propria responsabilità.

Ad esempio, nella vicenda esaminata dalla Corte di Appello di Palermo e culminata con la sentenza n. 1428 del 01 settembre 2021, l’eccezione sollevata dall’assicurazione ha riguardato la tempestività della denuncia.
È stato, infatti, sostenuto che il condominio non avesse puntualmente informato l’assicuratore di un sinistro avvenuto nel fabbricato. Per questa ragione, la compagnia ha negato ogni addebito.

Sono stati, pertanto necessari due gradi di giudizio per accertare la responsabilità del condominio, quantificare i danni verificatisi e stabilire se, in base alla polizza in essere, fosse possibile condannare l’assicurazione convenuta in giudizio, quale terzo chiamato in garanzia.

Veniamo, quindi, al caso concreto.

Assicurazione condominiale, denuncia tempestiva e copertura del danno: il caso concreto

In un edificio palermitano, provenienti dalla tubatura condominiale deputata al passaggio dell’acqua per il riscaldamento, delle infiltrazioni avevano provocato degli ingenti danni a carico di un appartamento di un condòmino.

La natura del pregiudizio, il tipo di intervento da realizzare e la quantificazione della somma necessaria al compimento della riparazione erano stati oggetto di una Ctu.

Al termine della stessa, accertata la responsabilità del condominio, quale custode del bene comune danneggiante, il Tribunale di Palermo aveva condannato l’ente al risarcimento del danno o, alternativamente, ad eseguire i lavori necessari ad eliminare le infiltrazioni e a ripristinare l’appartamento rovinato.

La predetta decisione, però, aveva escluso ogni addebito alla compagnia assicuratrice del fabbricato. Secondo l’ufficio siciliano, questa non era tenuta ad indennizzare il condominio, visto che non era stata tempestivamente informata del sinistro, in violazione degli artt. 1913 e 1915 del codice civile. L’appello proposto dall’ente era diretto a capovolgere, anche, tale conclusione.

In particolare, l’appellante sosteneva e documentalmente dimostrava di essersi, prontamente, attivato per denunciare alla compagnia i fatti oggetto della controversia. Anche in sede di ricezione dell’atto di citazione, l’assicurazione era stata, puntualmente, avvisata.

Insomma, secondo il condominio, la sentenza di primo grado era stata superficiale, poiché il ritardo era stato marginale, non era stato determinato da alcuna colpa o dolo dell’assicurato e, comunque, la citata compagnia non aveva provato nulla in tal senso.

A quanto pare, la Corte di Appello di Palermo, almeno da questo punto di vista, ha dato ragione all’appellante, pur respingendo l’impugnazione per altri motivi.

Contratto di assicurazione e denuncia del sinistro: la normativa

Secondo il codice civile, in caso di sinistro, l’assicurato deve informare l’assicuratore entro tre giorni «L’assicurato deve dare avviso del sinistro all’assicuratore o all’agente autorizzato a concludere il contratto, entro tre giorni da quello in cui il sinistro si è verificato o l’assicurato ne ha avuta conoscenza (Art. 1913 cod. civ.)».

L’adempimento di questo obbligo è molto importante. Secondo la legge, infatti, qualora il contraente ometta, fraudolentemente o colposamente, di denunciare l’accaduto alla compagnia, questa può essere totalmente o parzialmente esonerata dal riconoscimento dell’indennizzo «L’assicurato che dolosamente non adempie l’obbligo dell’avviso o del salvataggio perde il diritto all’indennità.

Se l’assicurato omette colposamente di adempiere tale obbligo, l’assicuratore ha diritto di ridurre l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto (Art. 1915 cod. civ.)».

Pertanto, ad esempio, in caso di infiltrazioni a danno di un appartamento privato in condominio, l’amministratore deve attivarsi, tempestivamente, per informare l’assicurazione.

Bisogna capire, però, se un semplice ritardo in tale avviso è sufficiente a determinare la perdita dell’indennizzo. A quanto pare, per la giurisprudenza sono necessari altri presupposti.

Sinistro e denuncia tardiva: si devono dimostrare dolo o colpa e pregiudizio sofferto

In caso di sinistro, come nell’ipotesi oggetto della sentenza in commento, può accadere che l’assicurazione sia informata dei fatti qualche tempo dopo i fatidici tre giorni stabiliti dalla legge. Ebbene, secondo la giurisprudenza, questo lieve ritardo non giustifica la perdita dell’indennizzo.

Troviamo conferma di queste affermazioni in quel passaggio della decisione della Corte di Appello di Palermo in cui si precisa che « affinché l’assicurato possa ritenersi inadempiente all’obbligo, imposto dall’art. 1913 c.c., di dare avviso del sinistro all’assicuratore, occorre accertare se l’inosservanza abbia carattere doloso o colposo, atteso che, mentre nel primo caso l’assicurato perde il diritto all’indennità, ai sensi dell’art. 1915, comma 1, c.c., nel secondo l’assicuratore ha diritto di ridurre l’indennità in ragione del pregiudizio sofferto, ai sensi dell’art. 1915, comma 2 c.c.; in entrambe le fattispecie l’onere probatorio grava sull’assicuratore, il quale è tenuto a dimostrare, nella prima, l’intento fraudolento dell’assicurato e, nella seconda, che l’assicurato volontariamente non abbia adempiuto all’obbligo ed il pregiudizio sofferto (cfr. Cass. Civ., Sez. III, 30.09.2019 n. 24210)».

È necessario, quindi, che il ritardo nella denuncia di sinistro sia caratterizzato da un intento fraudolento oppure colposo. In quest’ultimo caso è, altresì, indispensabile che l’assicuratore abbia subito un pregiudizio. Infine, sempre e comunque, la compagnia è onerata della prova di tali circostanze.

Pillole di condominio – Cosa fare quando un inquilino non paga le spese condominiali

Cosa fare quando un inquilino non paga le spese condominiali?

Anche se spesso lo sfratto per morosità è determinato dal mancato pagamento del canone d’affitto, la legge prevede che allo stesso risultato si possa giungere se l’inquilino non paga le spese condominiali.

Sul conduttere, infatti, gravano i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni e per i servizi condominiali.

Ma quando materialmente è possibile sfrattare l’inquilino che non paga il condominio, dopo quanto tempo ed a quali condizioni? Cosa rischia il padrone di casa se l’amministratore non riesce a riscuotere le quote relative al suo appartamento? Ecco alcuni chiarimenti.

Affitto: quando pagare le spese condominiali?

L’affittuario può essere tenuto a pagare le spese condominiali (i cosiddetti oneri accessori) solo se il contratto di locazione è stato regolarmente registrato, ossia “denunciato” all’Agenzia delle Entrate.

Difatti, in caso di affitto in nero, tutte le clausole in esso riportate per iscritto o concordate a voce non hanno alcuna validità. Sicché, sarà inefficace anche l’impegno assunto dal conduttore di pagare il condominio e, nel caso di inadempimento nel versamento delle spese, non si procede ad alcuno sfratto.

Affitto: chi paga le spese condominiali?

Il contratto d’affitto può stabilire come ripartire gli oneri accessori – ossia le spese condominiali – tra locatore e inquilino. È anche possibile fissare una percentuale à forfait a carico di quest’ultimo, uguale quindi per tutti i mesi, a prescindere dai consumi effettivi.

In ogni caso, non è possibile addebitare all’inquilino le spese straordinarie, quelle cioè non periodiche ma legate a lavori di ristrutturazione, alle innovazioni o alla sostituzione di strutture condominiali (si pensi all’acquisto di un nuovo impianto di riscaldamento centralizzato, al rifacimento del tetto, alla riparazione dell’ascensore rotto, e così via).

Se il contratto di locazione non prevede nulla in merito alla ripartizione spese condominiali, queste gravano sul conduttore limitatamente alle spese relative a:

  • servizio di pulizia,
  • funzionamento e per l’ordinaria manutenzione dell’ascensore,
  • fornitura dell’acqua, dell’energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell’aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine;
  • fornitura di altri servizi comuni;
  • servizio di portineria (a carico del conduttore nella misura del 90%, salvo che le parti abbiano convenuto una misura inferiore).

Quando deve avvenire il pagamento delle spese condominiali?

L’inquilino deve pagare le spese condominiali entro 2 mesi da quando il locatore gliene fa richiesta. Prima di pagare, però, può chiedere che gli venga esibita tutta la documentazione da cui ricostruire le spese a lui imputabili e i relativi calcoli effettuati.

A tal fine, il locatore dovrà farsi rilasciare i giustificativi di spesa dall’amministratore.

Si può sfrattare l’inquilino che non paga il condominio?

Se lo sfratto per il mancato pagamento del canone può scattare già dopo un ritardo di soli 20 giorni di una singola mensilità, per quanto riguarda gli oneri accessori sono necessarie due condizioni: un ritardo di almeno 60 giorni e un importo superiore ad almeno due mensilità dell’affitto.

Solo se sussistono tali requisiti il locatore può rivolgersi al tribunale per ottenere una intimazione di sfratto per morosità.

Come sfrattare l’inquilino moroso?

Come anticipato, la procedura di sfratto è identica indipendentemente dal tipo di debito maturato dall’inquilino (se per canone o per condominio). Tutto parte da un atto di citazione, notificato dall’avvocato del locatore al conduttore per il tramite dell’ufficiale giudiziario).

In esso è indicata la data dell’udienza a cui presentarsi dinanzi al giudice. In quella sede, l’inquilino che copre il debito evita lo sfratto. Potrebbe anche chiedere un termine di 90 giorni per recuperare i soldi. Ma, se neanche al termine di essi adempie, lo sfratto viene dichiarato esecutivo.

All’inquilino è comunque concesso presentare opposizione all’ordine di sfatto, tramite un avvocato, così aprendo un processo nel processo.

Cosa rischia il padrone di casa se l’inquilino non paga il condominio?

L’obbligo dell’inquilino di pagare le spese condominiali sussiste solo nei confronti del locatore (con cui del resto ha firmato la scrittura privata e ha quindi un rapporto contrattuale in corso) e non con il condominio, non essendo egli un condòmino (tale qualità spetta solo al proprietario dell’appartamento).

Ragion per cui, se l’affittuario non paga il condominio, l’amministratore può agire solo nei confronti del locatore, vero ed unico debitore della prestazione, salvo poi il diritto di quest’ultimo di rivalersi nei confronti del suo inquilino.

Attenzione però: se il pagamento delle spese condominiali si prescrive in 5 anni per il condòmino (nel nostro caso, il locatore), la prescrizione degli oneri accessori in capo all’inquilino è di soli 2 anni.

Questo significa che, se l’amministratore si dovesse muovere solo alla scadenza dei termini nei confronti del condomino questi potrebbe perdere la possibilità di farsi rimborsare le spese dall’affittuario.

Se dunque è vero che l’amministratore può riscuotere soltanto nei confronti del condomino, restando esclusa un’azione diretta nei confronti del conduttore, da qui scaturisce l’interesse del locatore ad agire per la risoluzione della locazione.

Pillole di condominio: Green Pass in condominio

Con il decreto Green Pass n. 127/2021 si stabiliscono anche le regole, relative all’obbligo di esibire la certificazione verde, nell’ambito delle realtà condominiali. Non vi sono in realtà delle norme specifiche attraverso le quali si definisce nel dettaglio in quali contesti nei condomini è richiesto il pass, ma è possibile comunque trarne un vero e proprio regolamento.

Partiamo dagli obblighi in capo all’amministratore di condominio, che ricoprirà il ruolo del datore di lavoro nell’ambito dell’applicazione delle norme sul Green Pass, nei casi in cui vi siano dei dipendenti, e diviene invece committente nel momento in cui vengono commissionati un appalto o un contratto d’opera.

L’amministratore del condominio diventa poi mandatario nel quando affida l’incarico ad un professionista per una data opera intellettuale, e infine riveste il ruolo di acquirente all’atto di acquisire forniture di beni e servizi.

Green Pass: obblighi per amministratore e dipendenti del condominio

L’articolo 3, comma 1 del decreto legge n. 127/2021 – che introduce l’articolo 9-septies nel decreto legge 22 aprile 2021, numero 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 87/2021 – stabilisce che “a chiunque svolge attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire su richiesta la certificazione verde Covid-19”.

Tra chi è tenuto ad esibire il Green Pass, se richiesto e quanto meno all’amministratore, nell’ambito della realtà condominiale è ad esempio l’addetto al servizio di portierato o di vigilanza ma anche coloro che con il condominio abbiano un rapporto di lavoro dipendente.

Ci sono però altre situazioni che necessitano di essere meglio definite, come il caso di una prestazione nelle parti comuni, ad esempio con assegnazione in appalto. In questo caso il controllo del green pass spetta al datore di lavoro dell’azienda in quanto esterna e indipendente dal condominio.

Tuttavia vi sono obblighi anche a carico del committente, cioè quelli definiti dall’articolo 26 del Dlgs 81/2008 inerenti la verifica dell’idoneità tecnico professionale “dell’impresa appaltatrice o dei lavoratori autonomi della stessa ai sensi dell’articolo 47 del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al Dpr 445/2000”.

Eppure sulla figura dell’amministratore il decreto non entra nel dettaglio, e non vi è traccia di chiarimenti neppure nella pagina delle FAQ sul sito del ministero dove viene specificato solo che “il libero professionista quando accede nei luoghi di lavoro pubblici o privati per lo svolgimento della propria attività lavorativa viene controllato dai soggetti previsti dal decreto legge 127/2021”.

Ciò vuol dire che accedendo negli ambienti del condominio è tenuto a rispettare tutte le norme in vigore nell’ambito della cosiddetta emergenza Coronavirus, compreso l’utilizzo delle mascherine protettive.

Obbligo di Green Pass per assemblea condominiale?

Non ci sono invece obblighi legati al possesso e all’esibizione del Green Pass nel contesto dell’assemblea di condominio. Infatti i partecipanti, stando a quanto si legge nel decreto, non sono tenuti ad avere il pass, a meno che la riunione non si svolga in luogo chiuso in ristoranti, istituti e luoghi di cultura, centri culturali, sociali e ricreativi, strutture ricettive.

Il pass verde non è obbligatorio quindi per l’assemblea condominiale in sé, ma è legato al luogo in cui si svolge, e subentra nel momento in cui questa si tiene nei luoghi indicati all’articolo 3, comma 1, lettera a, c, d, g del dl 105/2021.

Il controllo del Green Pass quindi in questi casi non spetta all’amministratore del condominio, bensì al titolare o al personale da lui predisposto, dell’attività commerciale, o in generale al gestore di altro luogo rientrante tra quelli sopra citati.

In merito allo specifico tema delle riunioni di condominio però non arrivano indicazioni né dal Cts, né dall’Istituto Superiore di Sanità. Resta da spiegare in modo inequivocabilmente chiaro come ci si debba comportare nell’ambito di assemblee condominiali in spazi comuni del condominio stesso o presso lo studio dell’amministratore di condominio.

Tuttavia dal momento che la riunione di condominio non è configurabile come incontro di lavoro, sembrerebbe chiaro che la legge attualmente in vigore non impone nessun obbligo di Green pass per i partecipanti.

Gli obblighi in capo all’amministratore di condominio che organizza l’assemblea e al presidente che conduce la stessa, sono circoscritti all’aspetto della sicurezza in chiave anti-contagio. Ciò vuol dire che rimane l’obbligo di indossare la mascherina in ambienti chiusi, la sanificazione degli ambienti e il rispetto delle altre norme valide per l’accesso nei luoghi chiusi.